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L’Insurrezione di Trieste (30 aprile - 2 maggio 1945)
Verso la fine di aprile a Trieste si consumarono gli ultimi tentativi di
mediazione per la costituzione di un esecutivo comprendente tanto il CNL che le
forze espresse dal Fronte di Liberazione Sloveno, ma non si potè trovare un
accordo che evitasse iI monopolio del potere da parte delle organizzazioni
comuniste filojugoslave. Al tempo stesso il CLN respinse la proposta dal
prefetto Bruno Coceani di non insorgere per non ostacolare la ritirata tedesca e
rifiutò pure un’offerta di difesa della città da parte delle truppe cetniche che
si stavano ritirando incalzate dalle formazioni di Tito. Per il CLN la città
doveva insorgere per ottenere la liberazione da sola senza attendere aiuti
esterni e per dichiarare la volontà di far parte della nuova Italia democratica.
Il piano insurrezionale fu preparato dal ten. col. Antonio Fonda Savio,
comandante del Corpo Volontari della Libertà, prevedendo l’occupazione dei
principali punti della città, il disarmo della milizia fascista e l’isolamento
dei capisaldi tedeschi, ma non l’attacco alle colonne germaniche in ritirata se
non in caso di aggressione, per evitare di trasformare la città in un campo di
battaglia. Nelle stesse ore il vescovo di Trieste Antonio Santin avviò una
propria iniziativa per convincere i comandi tedeschi alla capitolazione.
Tra il 29 e il 30 aprile 1945 il presidente del CLN don Edoardo Marzari,
arrestato qualche tempo prima e torturato dai fascisti, fu liberato dalle
carceri di Trieste con un colpo di mano e diede prontamente l’ordine di
insurrezione, in piena adesione con quanto ordinato quattro giorni prima dal CLN
Alta Italia. L’iniziativa del CLN colse di sorpresa il Comando Città di Trieste
jugoslavo, comandato dal maggiore Martin Greif, e formato da partigiani sloveni
e dai comunisti triestini, ma nella prima giornata di scontri elementi del CLN e
di Unità Operaia (organizzazione di massa comunista italo-slovena) combatterono
lealmente fianco a fianco. A quel punto i principali edifici pubblici erano in
mano al CLN e sulla Prefettura e sul Municipio sventolava la bandiera italiana,
anche se in questo ultimo era ancora insediato il podestà Cesare Pagnini,
nominato nel 1943 dai tedeschi.
Nella mattina del 1° maggio entrò Trieste un reparto corazzato jugoslavo con
l’ordine di attaccare i capisaldi tedeschi per cogliere una significativa
vittoria sul campo. Il CLN cercò una mediazione per convincere i comandanti
militari sulla inutilità dell’operazione ma i comunisti triestini insistettero
invece per la ripresa dei combattimenti ed effettivamente si tornò a sparare per
le vie della città, mentre gli uomini del CLN venivano disarmati e trattati alla
stregua di un “fascismo mascherato”. Allora il comandante Antonio Fonda Savio
ordinò il ripiegamento dei suoi reparti per evitare che il disarmo unilaterale
imposto dai filojugoslavi si trasformasse in un bagno di sangue.
Gli scontri armati continuarono per tutta la giornata e pure nel corso di quella
successiva, il 2 maggio, quando in città erano rimasti solo due capisaldi
tedeschi intenzionati a difendersi ad oltranza. Nel pomeriggio del 2 maggio
giunse a Trieste l’avanguardia della II Divisione neozelandese che ottenne la
resa del presidio tedesco del castello di San Giusto e poi contribuì alla
capitolazione di quello asserragliato all’interno del palazzo di giustizia. Il 3
maggio si arrese anche la guarnigione tedesca di Opicina dopo un’ultima
drammatica trattativa con i partigiani sloveni, mentre cadevano gli ultimi
presidi germanici in Istria. I combattimenti nella regione cessarono però solo
il 6 maggio a San Pietro del Carso, dove i resti del XCVII Corpo d’Armata
tedesco si arresero dopo un’estrema resistenza.
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